UOMINI NUOVI PER
UN MONDO NUOVO

NUMERO 1 MARZO 1999

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INDICE

Lettera del Presidente

Tra una partenza ed un'altra...

1000 NUOVI VOLONTARI ALL’ALBA DELTERZO MILLENNIO

 

 


 

"… sono convinto che il senso della vita, dell'amicizia, della giustizia, e quello supremo di Dio non si trovi in fondo ai nostri ragionamenti, ma sempre in fondo al nostro impegno"

(don Tonino Bello)

Carissimi,
vorrei cominciare questa lettera, che sta assumendo sempre più l'aspetto di un momento di riflessione a voce alta da condividere con voi, con queste poche righe di don Tonino, che mi hanno profondamente colpito e che mi hanno dato una risposta anche relativamente al nostro agire come organismo di volontariato.

Telefonate, incontri, conti e rendiconti, progetti, realizzazioni, formazione, partenze…facciamo tante cose, ci affanniamo tanto però le cose non cambiano. I poveri rimangono tali e il sottosviluppo, la fame, la miseria sono una realtà sempre viva e attuale. Per anni ne abbiamo parlato, ne abbiamo cercato le cause, abbiamo adottato metodologie di intervento ben studiate per valorizzare tutto l'uomo nella sua dignità, siamo interventi in tanti modi, ma i risultati? Spesso questa domanda risuona negli incontri e anche nelle nostre menti. I risultati.
Pur protetti dalle nostre valide e giuste riflessioni anche noi non siamo immuni dalla smania del "profitto". Vogliamo verificare direttamente i frutti del nostro impegno (e se questi non si vedono incombe minaccioso lo scoraggiamento e la fuga) quando invece è proprio lo stesso impegno il nostro principale risultato.
Il frutto più bello della nostra attività è la solidarietà, è la voglia di cambiare, è il desiderio di aiutare, è la consapevolezza che le ingiustizie si possono sovvertire e che la terra e le sue ricchezze sono per tutti non per pochi.
E il valore di tale frutto è difficilmente quantificabile.
I vari indicatori che ci dicono se un progetto ha raggiunto o meno i suoi obiettivi difficilmente riusciranno ad esprimere la grandezza ed il valore dell'impegno che noi abbiamo dedicato e che in qualche modo ci ha cambiato e ci sta cambiando.

Ma la nostra natura ci costringe a cercare risposte concrete ed è anche giusto che sia così.
Spesso diciamo che l'uomo, nella sua dignità di figlio di Dio, è al centro del nostro agire. Se ciò è vero, ed è vero, pur se apparentemente la situazione generale non cambia, se una sola persona ha migliorato le sue condizioni di vita ne vale la pena; se anche un solo villaggio di poche famiglie sta meglio a seguito del pozzo che prima non c'era, ne vale la pena; se anche solo un gruppetto di donne ha acquisito maggiore consapevolezza di se, ne vale la pena.

Un saluto a tutti.

Giovanni Baglivo

 

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Tra una partenza ed un'altra...

Intervista a Riccardo Capocchini, agronomo, al termine del suo servizio come volontario del Comi in Ciad, a Djouman. Ora è ripartito per un nuovo servizio di volontariato, con un altro organismo, nel Burkina Faso.

Dopo questa prima esperienza di due anni in Ciad è possibile per te dire chi è il volontario oggi?
R. Credo che la figura del volontario sia tuttora incisiva e importante per la promozione dello sviluppo dei popoli. Spesso può accadere che la gente del posto non sempre si renda conto di chi egli sia veramente e gli enti finanziatori preferirebbero mandare il danaro e basta, ma questa persona che lascia tutto, parte e va mi sembra indispensabile. Perché si tratta di mediare fra due culture e il volontario dovrebbe riuscire ad assumere, rendendosene conto in modo diretto, alcuni bisogni della popolazione presso la quale è inviato per trovare una risposta adeguata interagendo fra organismo che invia ed ente finanziatore.

Ci sono state delle motivazioni iniziali che ti hanno fatto decidere per il volontariato?
R. Diciamo che le mie motivazioni erano al 50 % professionali, infatti avevo scelto di studiare colture tropicali e mi sembrava che fosse normale un’esperienza di questo tipo. L’altro 50 % erano considerazioni o esigenze personali, cioè imparare ad ascoltare, a conoscere, a fare esperienze nuove anche umanamente.

Secondo me, per essere volontario, devi essere preparato bene anche professionalmente perché sei chiamato ad affrontare situazioni a volte difficili, ed un tuo errore lì è più grave che non qui.

Pensi che l’esperienza sia stata positiva ?
R. Si, veramente si. Tant’è vero che sto per ripartire. E poi è sempre una esperienza che ti arricchisce, anche se è difficile dire se hai più dato o ricevuto.

Sei riuscito in qualche modo a dare un tuo contributo di promozione per il livello di vita della popolazione dove hai operato?
R. Credo di sì. Al di là di ciò che costituisce l’aspetto più tecnico del progetto e che comunque aiuta, mi sono reso conto che si può essere come un veicolo per far da tramite in certe situazioni, per avviare contatti e favorire i discorsi fra gli abitanti dei villaggi. Occorre anche, e soprattutto, al momento opportuno, sapersi mettere da parte per farli sentire e renderli più autonomi.

Il progetto interessava solo Djouman come villaggio?
R. No, avevamo fino a 40 villaggi ed eravamo una équipe di sei fra italiani e ciadesi , con una buona intesa nell’insieme e questo è stato importante, perché il progetto richiede capacità di collaborare e di relazionarsi positivamente.
Certo era difficile fare una scelta quando altri villaggi chiedevano interventi, ma è chiaro che i bisogni sono tantissimi e la risposta che puoi dare è sempre parziale e occorre anche la capacità di accettare che non puoi fare tutto.

Che consigli daresti ad un candidato volontario?
R. Per conto mio gli aprirei bene gli occhi, non per essere pessimista, ma perché non sia eccessivamente idealista, anche se un pizzico di questo ingrediente ci vuole pure. Inoltre penso che un candidato debba essere consapevole di avere qualcosa da dare.
Deve poi mettere in conto, soprattutto se va in Africa, che la differenza di cultura, di ambiente e di vita è molto grande e che occorre saper accettare anche i disagi che questo comporta, o delle difficoltà a creare rapporti con molte persone. Io, ad esempio, ho fatto una vera amicizia solo con l’africano mio analogo. Con gli altri pur cercando e desiderando, non ci sono riuscito.

 

Un’ultima considerazione al volo….
R. In questo momento il volontariato internazionale sta subendo alcune modifiche. Spesso il volontario diventa più simile ad un cooperante, anche perché ci sono molti organismi ed enti che tendono a sottolineare questa dimensione. Non so se è possibile bloccare questa trasformazione: Resta il fatto che anche se dovesse scomparire l’assoluta gratuità, il volontariato internazionale non dovrebbe perdere nulla della sua incisività perché, comunque, il fattore umano di contatto e di rapporto rimane molto forte.
Bisogna capire che il volontario che parte dev’essere preparato e qualificato, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano. Altrimenti si può cadere nel rischio del neocolonialismo nel rapporto con la gente a cui è mandato: solo perché bianco può credere – o far credere - di sapere più di loro senza però riuscire a dare il meglio di una qualificazione nel campo specifico e senza creare quelle condizioni che permettano un autentico rispetto e sviluppo della dignità dell’uomo.

 

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1000 NUOVI VOLONTARI ALL’ALBA DELTERZO MILLENNIO

I 600 volontari italiani che hanno svolto un servizio in progetti di cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo, riuniti a Verona il 6 dicembre 1998, in occasione della Giornata Mondiale del Volontariato, hanno sottoscritto una dichiarazione in cui:
affermano la centralità dell’incontro gratuito tra persone e culture come elemento indispensabile per costruire relazioni internazionali basate sul rispetto dei diritti umani;
rifiutano una cooperazione allo sviluppo senza i volontari ( che sono ponte per introdurre nuovi valori di cui la nostra società ha bisogno), fatta solo con denaro, strutture e tecnologie;
considerano, quindi, con preoccupazione la grave situazione in cui versa da molti anni la cooperazione italiana a causa della progressiva riduzione delle risorse finanziare rese disponibili dal governo, che colpisce soprattutto la potenzialità degli organismi di volontariato in un contesto di burocrazia paralizzante, generiche dichiarazioni d’intenti e contraddittorio aumento delle spese militari;
denunciano la conseguente grave difficoltà a poter svolgere il servizio di volontariato internazionale usufruendo delle forme di tutela prevista dalla normativa vigente: è desolante costatare che nel 1998, infatti, solo 100 volontari italiani hanno potuto sottoscrivere contratti riconosciuti dal Ministero degli Affari Esteri, mentre in altre nazione europee, come Francia e Gran Bretagna, il numero dei volontari impegnati annualmente all’estero con il sostegno dello stato supera rispettivamente le 1900 e 2500 unità;
ribadiscono il loro appoggio alle centinaia di "fuorilegge della solidarietà", ossia a tutti quei volontari che, ignorati dalle istituzioni e con grande dedizione, continuano a lavorare per lo sviluppo insieme ai popoli del Terzo e Quarto mondo, così come a quelli dell’Est Europa;
si impegnano direttamente a svolgere un’azione coordinata, anche in opportune forme associative, d’informazione, sensibilizzazione e mobilitazione del territorio, per ottenere maggiore attenzione alla urgente necessità di reali agevolazioni - che vadano oltre il formale riconoscimento – per i volontari internazionali, elemento generatore d’incontro e cooperazione verso quel miliardo e mezzo di persone che vivono in stato di povertà;
propongono uno sforzo d’adeguamento istituzionale che giunga anche alla elaborazione di una legge per assicurare alla figura del volontario non solamente le attuali garanzie ma quelle più ampie previste in altri Paesi europei;
sollecitano una rapida riforma delle leggi in materia di cooperazione internazionale che, liberando gli interventi e le relazioni dei soggetti impegnati nella politica estera dalle attuali contraddizioni e incongruenze, consentano di rendere la presenza degli italiani nel mondo (diplomatici, imprenditori, militari, cooperanti e volontari) una modalità di reale comunicazione dei valori positivi della nostra cultura;
chiedono che sia data agile e snella applicazione a normative chiare e certe che permettano di riaprire le porte della solidarietà, facendo partire almeno 1000 nuovi volontari entro l’anno 2000.

Verona 6 dicembre 1998

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